«Le carovane appaiono perché si impari a riflettere sul loro viaggio».

É una frase tratta dall'ultimo fondamentale libro di Alberto Bevilacqua, La donna delle meraviglie.

La riflessione “autre”, il segnale metafisico di cui è investito lo sguardo sulla realtà di Etta Scotti annunciano una profonda rivelazione sull'universo contemporaneo, remoto ormai dall'uomo, oggetto dell'investimento tecnologico e sbiadito nella sua individuale, tanto da riflettere unicamente monocromi bagliori d'autunno e apparenze riflesse, anche se chiarissime, delle sembianze umane.

La Scotti riflette su questo “viaggio” nell'anonimo indistinto della società contemporanea nel collettivismo plurimo al di là del ceto o dell'espressione individuale, persino in estraneità con se stessi se non per pallidi riflessi emotivi, che provengono da creature lavartiche, di cui la superstite qualità del messaggio è affidato unicamente al pennello dell'artista. Un'artista, come è la Scotti, estremamente sensibilizzata, attraverso una iconografia del collettivo, alla problematica contemporanea di massa, che assume facce e figure stereotipe, larve da memorie foto meccaniche espresse con il sermo humilis della tinta su tinta in un continuum spaziale che fagocitando la figura individuale, la assimila non solo all'ambiente (di cui appaiono solo labili tracce) ma ad una sorta di indistinto spazio cosmico che obnubila la percezione, nel tempo stesso in cui, attraverso quelle forme o larve di forme si coagula e condensa, in un unica, alternante qualità spaziale di pieno e vuoto.

Questo vischioso “vuoto” e “pieno”, apparenza e realtà, ombra e lucida memoria di sé, costituisce l'interna osmosi dei dipinti della Scotti, unitamente alla sue elementare e, direi quasi, statica dinamicità.

Una contraddizione in termini, che è però all'origine del livello ispirativo della Scotti, così nostalgica e sognante eppure così ferma, lucida ed esatta nel denunciare le proprie motivazioni ideologiche.

Meravigliosa promiscuità di questa pittura della Scotti (che è molto avvincente e molto raffinata) alla lucidità della motivazione intellettuale circa il suo giudizio sul mondo, o meglio sulla società contemporanea, che si accoppia ad una sottile ed intenzionale debolezza del colore.

Una faiblesse essenziale nell'arte di chi voglia, come la Scotti, più che il coinvolgimento emotivo, quello, addirittura empatico, con lo spettatore.

Perciò la pittrice considera il colore non tanto come elemento indispensabile della propria comunicazione visiva, quanto come coefficiente di variazione, minimale e impercettibile, di un messaggio di comunicazione essenzialmente mentale o, se si vuole, intellettuale.

Il colore della Scotti e soltanto luce (un ampio spettro di grigi o di ocre slavature).

E' un limpido strumento, più intellettuale e meno sensorio che, attraverso la sua propria risoluzione emblematica e ancora ricca di mistero, guida l'artista ad una finale “rivelazione”, carica tuttavia di problematicità e di allucinati giudizi.

E' proprio allontanandosi dalla veduta empirica e in qualche modo aneddotica, oltre che sensoria della realtà che la Scotti conferisce alle sue prove pittoriche – del resto pienamente realizzate dal punto di vista  visivo – dignità e regola di interpretazione intellettivamente – ma solo intellettivamente-catartica dell'universo contemporaneo.

La sua è una pittura suggestiva di realtà distanti dall'uomo: vera e irreale nella forma, immaginaria e perfettamente allusiva, lucida e naturalmente allucinata.

Ma questa è la sua forma.

E' l'aspetto particolarissimo, visualmente e formalmente autonomo, di questa pittura che, parafrasando certe parole di Braque, è “vera” quanto meno è o si comporta da “verosimile”.

 

 

di Sandra Giannattasio

Una lucida memoria del mondo

Il colore interagisce con le emozioni umane; ad ogni colore è legato uno stato d’animo e i colori si attivano a vicenda in molte sfaccettature che da soli non avrebbero.

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